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UN GIORNO SPECIALE

A cura di Paola Nucciarelli

 

Regia: Francesca Comencini

Sceneggiatura: Francesca Comencini, Giulia Calenda

Musiche: Ratchev & Carratello

Fotografia: Luca Bigazzi

Montaggio: Chiara Vullo, Massimo Fiocchi

Scenografia: Paola Comencini

Costumi: Ursula Patzak

Soggetto: Claudio Bigagli, Francesca Comencini, Giulia Calenda

Cast

Marco: Filippo Scicchitano

Gina: Giulia Valentini

autista deposito: Roberto Infascelli

onorevole Balestra: Antonio Zavatteri

Marta: Daniela Del Priore

Rocco: Rocco Miglionico

Anno: 2012

Nazione: Italia

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 90 min

Genere: commedia

LA TRAMA

Gina, una bella ragazza della periferia romana, viene spinta dalla madre ad incontrare un politico per ottenere favori nel mondo dello spettacolo. Gli impegni dell’onorevole costringeranno Gina e  Marco,  un giovane autista di auto blu al suo primo giorno di lavoro, a passare insieme l’intera giornata.

LA REGISTA

Regista, sceneggiatrice e aiuto regista, figlia d'arte (suo padre è il grande Luigi Comencini, mentre sua madre è Giulia, figlia della principessa Eleonora Grifeo di Partanna), sorella di Paola e Cristina Comencini, Francesca inizia il suo percorso di vita come studentessa di filosofia, poi lascia l'università dopo due anni di studio e si trasferisce in Francia, dove nel 1982 sposerà il produttore e attore Daniel Toscan du Plantier, dal quale divorzierà dopo la nascita del suo primo figlio. 


Nonostante il suo sogno nel cassetto sia quello di diventare una scrittrice, nel 1984 si dedica alla regia dirigendo Pianoforte (1984), storia autobiografica di una studentessa universitaria e di un giornalista affermato, entrambi tossicodipendenti. La pellicola le permette di vincere il Premio De Sica al Festival di Venezia. È il suo primo successo.
Negli anni seguenti, si occupa della sceneggiatura di Un ragazzo di Calabria (1987), per la regia di suo padre Luigi, e del francese La luce del lago che lei stessa dirigerà nel 1989. Negli anni novanta, dopo essere stata assistente regista del padre in Marcellino (1991) con Ida Di Benedetto e Roberto Herlitzka (remake del più classico Marcellino pane e vino, 1955), firma l'inedito Annabelle partagée (che uscirà in Francia e nei paesi limitrofi) e poi i documentari Elsa Morante (1995), dedicato alla famosa scrittrice italiana, e Shakespeare a Palermo, su una piéce di Carlo Cecchi. 
Con l'arrivo del nuovo millennio, è nei migliori cinema con Le parole di mio padre (2001), pellicola in cui dirige un'altra figlia d'arte, Chiara Mastroianni, e Mimmo Calopresti, ispirata al romanzo edipico di Italo Svevo, "La coscienza di Zeno", ma è duramente bacchettata dalla critica per la pesantezza della sceneggiatura. Si rifà, contribuendo con altrettanti registi, in vari reportage sugli eventi che colpirono Genova nei giorni del G8, firmando forse uno dei documentari più belli sull'argomento: Carlo Giuliani, ragazzo (2002), sull'uccisione da parte della polizia di uno dei "disobbedienti" che parteciparono alla protesta del 20 luglio 2001. 
Compagna del produttore Philippe Dugay e madre dell'attrice Camille Dugay  F. Comencini, nel 2003 è l'autrice del documentario Firenze, il nostro domani, poi l'anno successivo, arriva il suo film più intenso Mi piace lavorare (Mobbing), con Nicoletta Braschi, che vincerà il Premio della Giuria al Festival di Berlino e il Nastro d'Argento come miglior soggetto. La storia è quella di una contabile che, dopo una fusione con una multinazionale del suo reparto, sarà vittima del mobbing da parte della nuova multinazionale entrante. Un film che descrive in maniera atroce e spietata tutti i danni che questo tipo di fenomeno social-lavorativo riesce a provocare in un individuo, il tutto delineato da una regia efficace, essenziale, ma allo stesso tempo introspettiva. 
Nel 2004, firma anche il documentario collettivo Visions of Europe sullo stato dell'arte nel mondo, poi il lungometraggio morale con Valeria Golino e Luca Zingaretti A casa nostra (2006), in cui si scatena contro il potere del denaro e i falsi moralismi. Nel 2009 filma Lo spazio bianco interpretato da Margherita Buy. Un giorno speciale nel 2012 presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

E’ cofondatrice del movimento “Se non ora quando?” (SNOQ) fondato nel 2011.

RECENSIONE

Ispirato dal romanzo di Claudio Bigagli “Il Cielo con un dito” da cui F. Comencini ha tratto la sceneggiatura, il film  si sviluppa fra  la Roma delle periferie oltre il GRA e il centro storico di Piazza di Spagna e via Condotti, fra gli abitanti delle periferie e i turisti e i ricchi del centro.  La regista sottolinea una distinzione netta fra le persone, tra chi ha il potere e può spendere e chi non ha né soldi e nè potere offrendo una visione critica all'Italia di oggi, divisa tra ricchi e poveri, tra "sfigati" e raccomandati. Il centro di Roma, con le sue meraviglie e le sue vetrine blindate, diviene una metafora vivente dell’esclusione di molti giovani da un mondo dorato, sognato. Un tema universale come quello delle aspettative di quest’ultimi, spesso pesantemente frustrati da una società sensibile solo allo sfruttamento sotto molteplici forme, trova infatti nella Roma vista dalla Comencini l'ideale scenario in cui splendore e corrompimento mercantile convivono essendo assurti allo status di 'normalità'. Gina e Marco si muovono su questo sfondo di degrado etico-politico romanocentrico, che invade a volte lo schermo quasi da coprotagonista, con una consapevole leggerezza dalla quale il disagio esistenziale emerge in crescendo.

Si percepisce la precarietà assoluta dei giovani in un mondo dominato dal potere maschile in un Paese, l’Italia, che sembra non vedere futuro.

Quella mattina Gina viene vestita e truccata  in modo pesante dalla madre estetista di un centro commerciale. Il suo vestito, l’acconciatura e il tacco quindici risultano stridenti con il luogo dove vive e con l’orario mattutino, ma la madre non sente ragioni e la obbliga anche a farsi vedere dalla gente del vicinato. Alla ragazza il «provino» dovrà farlo un onorevole, e non saranno le sue doti artistiche a interessarlo.

La sua femminilità sarà  pertanto ridotta a oggetto passivo di piacere maschile.

La pellicola vuole quindi denunciare un altro fenomeno dilagante, quello delle piccole imprenditrici che considerano il loro corpo solo uno strumento e non il luogo del sé, come se ci fosse una scissione corpo-mente  attraverso la mercificazione del corpo femminile.

Il film ben girato e ben interpretato dai giovani protagonisti ha un cambiamento di tono verso la fine. La freschezza, la leggerezza svaniscono, si fa buio e la Roma colpevole piange le sue lacrime attraverso una pioggia battente.  Si torna alla realtà e il viso di Gina si fa serio, quello di Marco preoccupato.

 Poi il vuoto dentro, questa ragazza si guarda allo specchio, si sciacqua il viso, corre a casa, e si rende conto che forse dimenticare non sarà semplice, dovrà conviverci con queste sensazioni e che non sarà né la prima nell’ultima volta.

Marco comunque torna a cercarla, la chiama a gran voce, ma Gina non si gira. Rimane con lo sguardo assente assorto sulla tv spazzatura. Un finale che strappa sicuramente meno applausi, ma che lascia quel senso di angoscia dentro cui la nuova  generazione è stata confinata.

Intervista alla regista:

Che cosa si proponeva con questo film?

  • "Volevo porre un'enfasi sul comportamento del politico, ma anche sulla normalità della cosa: andare dal parlamentare per ottenere favori sembra alla ragazza e alla madre la cosa giusta da fare E così lei ci si va a schiantare, va al macello: la leggerezza che caratterizza il resto della storia, a quel punto, si spezza. Ed è una cosa che non riguarda solo il Palazzo, ma anche la questione del potere maschile in generale. In qualsiasi ambito: cinema compreso".

Che ruolo ha la bellezza nell’impianto narrativo del suo film?

  • È una riflessione sulla bellezza, perché la ricerca della bellezza è una caratteristica dei nostri tempi e degli anni che abbiamo vissuto. Un’idea della bellezza che però è sempre a rischio del proprio collasso, sta sempre sull’orlo di tramutarsi in qualcosa di orribile. È la bellezza come possibile ‘impresa di sé ”. Mi spiego. Nella società attuale, una ragazza bella non è soltanto di bell’ aspetto, ma lei stessa diventa imprenditrice della propria bellezza ed esercita su questa e sul proprio corpo un controllo. Come se la bellezza fosse qualcosa di utilizzabile e come se il corpo e la bellezza non fossero lei stessa. Come se il corpo fosse scisso dalla ragazza, una cosa che lei può controllare e utilizzare a suo piacimento in una sorta di libero arbitrio. Invece, è solo una parodia di libertà ed è un modo di utilizzare la libertà con effetto contrario. Sappiamo profondamente, il femminismo lo rivendicava, che il corpo è la sede del “Sé”, non è distaccato e non è un oggetto di cui si può disporre a parte. Però, paradossalmente, sia nella cultura repressiva, in cui il corpo doveva essere controllato, nascosto e represso, sia in una cultura edonista, apparentemente libertaria, come la nostra, c’è un ritorno e un rischio opposto, ma simile, a quello della repressione, proprio perché c’è un esercizio di controllo fortissimo del proprio corpo, che quindi non è mai libero. Molte giovani ragazze vivono un’illusione di potenza della mente sul proprio corpo e credono di poter controllare tutto, ma non è così. Questa percezione di se stesse ‘divise’, tra mente che governa il corpo e quest’ultimo che sembra loro libero, questa scissione è un ricatto a cui le donne sono state sottoposte per decenni e credo che utilizzare il proprio corpo per ottenere qualcosa ne sia il prodotto.

Il film racconta sia della bellezza della protagonista femminile, Gina, sia della bellezza, che lei stessa in un’intervista ha definito ‘fatua’, di una zona di Roma: Ponte di Nona, dove è ambientata la storia. Esiste un rapporto fra queste due ‘bellezze’?

  • Mi sembra che ci possa essere un legame tra la bellezza di Roma e la bellezza della protagonista nel senso che entrambe vivono continuamente il rischio di un prolasso. Roma è sempre in bilico dall’essere un luogo ameno, gradevole, all’essere un luogo orribile. Così la ragazza, che quando si sveglia è molto carina poi successivamente durante il film ha delle trasformazioni come a volersi rendere più bella e invece si imbruttisce. Sono due categorie: il luogo e la ragazza, entrambe di estrema bellezza sempre sull’orlo del collasso e di diventare il contrario. Un po’ come se si va in giro per il centro di Roma, a causa delle tante stratificazioni che la città ha subito, sembra continuamente oscillare fra la bellezza e la sua perdita sino a divenire, a tratti, spaventosa.

 
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